Da NiedernGasse: La casa del poeta, capitolo VI

30.04.2017 17:01

Durante la lunghissima degenza di Adelaide, Amato era libero di rimanere in ambulatorio più a lungo, non dovendo rispondere ai richiami imperiosi della consorte, la cui permanenza in un letto d’ospedale, tuttavia, muoveva spontaneamente il poeta al suo capezzale, ma senza orari fissi, senza scadenze precise: il reparto in cui era ricoverata permetteva un’ampia libertà di movimento ai visitatori.
Fu così che iniziai a lasciare Amato solo nell’ambulatorio, visto che poteva godere della compagnia delle voci. Poteva essere una variazione nel nostro gioco di ruolo psichiatrico. Mi parve che ciò gli giovasse, visto che iniziò a scrivermi lettere in cui traspariva una certa riconoscenza, cosa abbastanza rara in lui, incline com'è all'insoddisfazione e, oserei dire, all'ostilità nei confronti di chiunque gli proponga soluzioni terapeutiche al suo male di vivere. Perché mi scrivesse e non mi parlasse a voce, non l'ho mai capito bene, forse era per marcare comunque una distanza o, forse, al contrario, era un modo per mantenere un contatto con me anche quando mi assentavo dall'ambulatorio. Avrebbe potuto alzare il telefono, ma lo faceva di rado, sostenendo di non amare il suono della voce nella cornetta. Dunque, preferiva scrivermi e una volta, per esempio, mi mandò una missiva di questo tenore:

Continua a leggere su NiedernGasse.