Franzosini racconta Léautaud

20.10.2025 16:26

Edgardo Franzosini insegue da anni, quasi fosse un'ossessione discreta e sottotraccia, la figura di Paul Léautaud, scrittore e critico teatrale, attivo nella Parigi di inizio novecento, morto nell'aristocratico isolamento del suo fatiscente villino fuorimano, attorniato da decine di cani e gatti abbandonati che accudiva amorevolmente. Léutaud fa capolino in quasi tutti i libri di Franzosini, ma si tratta di apparizioni fugaci, piacevoli camei non sempre necessari all'economia narrativa, che ci appaiono restrospettivamente come segnali, spie di una passione segreta che adesso, con Per espresso desiderio (Gramma Feltrinelli 2025) prende finalmente forma compiuta. Ma perché proprio Paul Léautaud? In una recente intervista l'autore ha affermato di avere ammirato "il suo spirito libero e indipendente. La sua vita sregolata e povera. La carica libertina dei suoi comportamenti, e quella anticonformista e capricciosa delle sue opinioni. Il fatto che abbia vissuto solo per scrivere (...) Le sue improvvise e commoventi tenerezze. Il suo amore per la solitudine e il silenzio. Il suo animo egoista e cinico" (vedi Antonio Castronuovo, Léautaud, o dell'incesto immaginario). 

Franzosini, anche in questo libro, è fedele al suo tipico procedimento di isolare un episodio ritenuto significativo nella vita del personaggio raccontato e di ricostruirne la vicenda complessiva alla luce di quel momento particolare. In questo caso si tratta dell'incontro tra Paul Léautaud, quasi trentenne, e la madre, Jeanne, quasi cinquantenne, incontro che avvenne a Calais nel 1901, al capezzale della morente Fanny, sorella di Jeanne e zia di Paul. È solo la quarta volta che Paul vede sua madre. Lei lo aveva abbandonato a pochi giorni dalla nascita, lasciandolo al padre, Firmin, che di mestiere faceva il suggeritore alla Comédie Francaise, e più ancora del suo lavoro amava la caccia e le donne. Sarà per Paul un'infanzia senza affetto, in cui a fare le veci della madre ci sarà la balia e, più blandamente, le amanti di suo padre: attrici di varietà o ragazze avvenenti del demimonde parigino. Léautaud racconta, in prima persona, l'ncontro di Calais con la madre in Le Petit ami, il suo esordio narrativo (1903). Franzosini, cambiando il punto di vista, lo racconta in terza persona ma inserisce una "presa diretta", dando largo spazio ai dialoghi, come mai aveva fatto nei precedenti libri. È quasi una scrittura scenica, forse il più teatrale dei libri di Edgardo, anzi, il più cinematografico, vista l'alternanza frequente di interni ed esterni. Come in una commedia degli equivoci i due fingono di non conoscersi per poi, finalmente, svelarsi l'una all'altro (era un segreto di Pulcinella) e sciogliersi in abbracci e baci, quasi come due innamorati. Alle equivoche insistenze del figlio, la madre opporà un rifiuto non privo di dolcezza. Dopo il funerale di Fanny, ognuno tornerà alla sua vita, ma Paul rimpiangerà per sempre di non essere stato abbastanza audace. Per alcuni mesi si scambieranno lettere, poi più niente: lei, che si è da tempo sposata e ha avuto altri figli, teme che Paul possa rovinarla presentandosi a casa sua, a Ginevra, dove vive col marito. Il libro si chiude con Paul che, anni dopo, nel giorno in cui apprende della morte della madre, trova il coraggio di aprire l'ultima, terribile lettera che lei gli aveva scritto, dove addossa a Paul l'intera responsabilità dei malintesi e dichiara di avere finto di mostrargli affetto solo per compassione. 

Avrà davvero recitato, questa madre che aspirava a fare l'attrice? Basta questa ritrattazione finale a cancellare le quasi cento lettere della loro corrispondenza?

Ma questo di Franzosini è anche un libro sullo scrivere. Léautaud antepone la scrittura a qualsiasi cosa. Leggendo la sua storia, stupisce di vedere il protagonista prendere appunti di continuo, anche di nascosto, e pensare che quello che sta vivendo, o ha appena vissuto, gli fornirà un buon capitolo per il libro che ha in cantiere. E questo però è anche una presa di distanza dal reale, una difesa dal coinvolgimento emotivo che la vita comporta, pensando già al dopo, alla traduzione della realtà in letteratura. Questa difesa dalle emozioni si traduce in vero e proprio cinismo, quando Léautaud riflette sui rapporti tra i sessi sfrondandoli di quasiasi romanticismo, perché in fondo l'obiettivo di uomini e donne è andare a letto insieme. O ancora quando riflette sulla morte delle persone care, destinate a essere ricordate nei momenti immediatamente successivi al trapasso per poi cadere presto nell'oblio. C'è da parte sua il tentativo di svuotare i  rapporti umani del loro contenuto affettivo e di negare il loro valore simbolico. Eppure, proprio lui, Léautaud, non si è più ripreso dall'abbandono della madre quando era piccolo e il suo cinismo da adulto pare una strategia difensiva per sfuggire alla sofferenza o, perlomeno,  per soffrire il meno possibile. In fondo, era tutt'altro che un'insensibile, visto che riversò le sue cure sugli animali abbandonati, prendendosene cura come sua madre non aveva fatto con lui.

Tutto il libro è comunque percorso da una garbata vena di ironia, quell'ironia che permette a Franzosini di narrare con leggerezza anche la più dolorosa e sconveniente delle storie. Il comico è sempre in agguato, che si tratti dell'abbigliamento da clochard-dandy di Léautaud o delle sue idiosincrasie che lo portavano a proferire sentenze inappellabili contro la "diarrea poetica" di Victor Hugo o contro Edmond Rostand, il cui Cyrano "colava poesia da tutte le parti". Che dire poi dello scherzo bambinesco fatto al poeta Verlaine, incrociato casualmente per strada? O della diatriba sfiorata con il ricchissimo attore e collezionista Sasha Guitry che si permise, lo sfrontato,di proporgli l'acquisto di alcune pagine autografe del suo monumentale diario (seimila cinquecento furono quelle pubblicate)?

Forse - dico forse - per i conoscitori di Léautaud, così ferocemente autobiografico nei suoi libri, sarà un po' attenuato quel brivido della scoperta cui Franzosini ci aveva abituato ricostruendo le vite davvero oscure di Johan Ernst Biren, il compulsivo mangiatore di carta, o indagando la maniacale spinta creativa di un artista singolarissimo come Picassiette. Ma qui  l'intento di Franzosini è soprattutto quello di portare alla luce e rendere evidente, attraverso il fitto dialogare di madre e figlio, la duplicità sentimentale di Léautaud, il suo straziante affetto filiale e la sua attrazione erotica per una donna intravista trent'anni prima e ritrovata ancora piena di attrattiva carnale. Non si può biasimare questo figlio infelice e sensuale senza compatirlo. E non si può nemmeno pensare che sia stato tutto un equivoco, perché le lettere della madre sono lì a testimoniare l'ambiguità di lei, non insensibile ai complimenti di un giovane che, purtroppo, era stata lei a partorire. È probabilmente questa ambivalenza, questo nodo irrisolvibile, che ha sempre affascinato Franzosini e lo ha portato a dare forma romanzata alla vita di un autore non certo sconosciuto, ma oggi sicuramente trascurato, appartato testimone di un novecento forse archiviato troppo frettolosamente.