Il piano terra di Signoracci

30.12.2022 19:15

Tra i libri che Valentino Ronchi sceglie di pubblicare nella collana di poesia da lui curata («Quai de Boompjes» per Pequod edizioni) circola sempre un’aria di famiglia. Al di là delle differenze tra gli autori, anche marcate, si sente una mano ferma, un gusto preciso – per non dire una poetica – che compie la selezione. La preferenza pare quindi andare a quei poeti che si muovono «verso la prosa» e parlano «della vita e del soggetto che la vive», per dirla con le parole che Manacorda, quasi trent’anni fa, usava per indicare tutta una tradizione novecentesca – da Gozzano a Saba, a Pavese, su su fino alla Cavalli – estranea al misticismo della parola e all’oscurità dell’espressione.
Si inscrive in questa linea anche Piano terra (Poesie 2017-2022) di Franco Signoracci, docente di lettere e autore di libri per ragazzi. Il testo di pagina 122 è quasi un manifesto:

«Se vuoi dire una cosa, dilla chiara»

Non è più tempo di frammenti orfici
né di ermetiche suggestioni
di scrittori e di chiosatori
che troppo spesso
sembra che parlino
a chi le cose le sa già.

Ora bisogna che la gente
Comprenda le parole dei poeti:
almeno chi ha la pazienza
e la follia (questa sì!)
di starle ad ascoltare.


Questa esortazione alla chiarezza può suonare naïf se si pensa che la lirica moderna è fatta in gran parte da trame metaforiche spesso non riducibili a discorso logico, non parafrasabili, è un terreno dove vige l’analogia, il linguaggio associativo. La poesia moderna non è la riformulazione raffinata e decorata di un pensiero esprimibile anche in una forma più semplice (questo poteva valere nei secoli classici, diceva Barthes). E tuttavia sono d’accordo con Signoracci: orfismi ed ermetismi hanno fatto il loro tempo. Ci vuole qualcos’altro. Ma cosa? Signoracci opta per una lingua piana, domestica, a basso tasso metaforico, e per una volontà comunicativa che percorre tutto il libro. Non è neanche questa una rivoluzione. Ma una scelta di campo sì. Si potrebbe anche obiettare che se è folle ascoltare i poeti, forse è proprio per questo loro “sragionare” e che, al contrario, se parlassero comprensibilmente, non ci sarebbe motivo di chiamare folle chi li ascolta. Ma lasciamo stare. È un fatto assodato che ormai i poeti si accontentino di una circolazione della loro poesia fra pochi presunti eletti (spesso essi stessi autori o aspiranti tali).
Quando, come accade talvolta, un autore di poesie raggiunge il grande pubblico (è il caso, per esempio, di Erri De Luca o di Franco Arminio) c’è da chiedersi davvero se stiamo parlando di poesia e non di qualcos’altro, forme spicciole di scrittura terapeutica, che vuole far bene all’anima, ma che della densità semantica e ritmica della poesia non hanno quasi niente. Riflessioni più o meno suggestive con “a capo” gratuiti. Forse si è capito, ma sono un po’ pessimista, non credo che la poesia, così come la conosciamo, abbia un grande futuro, mi pare una forma d’arte residuale.
Giampiero Neri, nella breve postfazione a questo libro, scrive che «Le  poesie di Signoracci sorprendono per il contrasto fra l’aspetto formale, che è colloquiale, quotidiano, e il contenuto profondo del senso morale». Soprattutto direi che colpisce il senso struggente della fuga del tempo, della precarietà del transito terrestre degli uomini. Ci sono qua e là accenni al sacro, a una dimensione ultraterrena, ma non sembrano in grado di bilanciare la malinconia che nasce dalla coscienza della propria finitudine. In Time out (p. 133) compare un prete, ma è colto non tanto nella sua veste di ministro divino quanto nel suo umanissimo bisogno di riposo e di compagnia:

Stanchi, ma veramente stanchi
di lottare contro le cose ultime
(in fondo, sulle stesse barricate),
il vecchio medico
e il cappellano, incontrato in corsia,
si diedero un appuntamento
per quella sera in pizzeria…


Un sacerdote, forse lo stesso, compare anche in un altro testo, Quando uscì per l’ultima volta (p. 63). Di fronte alla domanda di un malato, che si chiede perché Dio lo abbia lasciato in vita dopo una grave malattia,

Il vecchio prete,
seduto accanto a lui,
uso a domande ultime,
sorrise, poi rispose:
- Perché certo hai ancora
qualche cosa da fare
giù
a piano terra.


È questa dimensione terrena che più occupa il poeta, questo stare nel mondo con tutto quello che comporta di piccoli piaceri, gratificazioni, impegni, rinunce, dolori. Brano emblematico è anche Lo scrittore (p. 52), che pare una autobiografica confessione di grandi aspirazioni di gloria letteraria e una pacata accettazione di un ruolo diverso: marito e padre affettuoso con la passione per i versi.
Sono tanti i rimandi che si possono rintracciare in queste pagine: dal quotidiano urbano di Giudici alla voce in tono minore dei crepuscolari, finanche a certi echi pascoliani. Non mancano però degli “intermezzi buffi”, come Ispirazione, Illuminazione, Avanguardia poetica, o dei veri e propri racconti in versi, come Miracolo in via Rittmeyer, delicata storia ai confini della follia.

Franco Signoracci, Piano terra, Pequod, 2022, pp. 156, euro 15.