La solitudine del catalogatore
19.05.2021 19:07
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- Che lavoro fai?
- Il catalogatore.
- Catalogatore? Ma che cazzo di lavoro è?
Si potrebbe cominciare da qui per parlare di questo esile libro, il primo di Angelo d'Adda, che per molti anni ha diretto la biblioteca Vittorio Sereni di Melzo. Ogni biblioteca che si rispetti è fondata su un catalogo, un insieme di schede che descrivono sinteticamente ogni singolo volume, e ci sarà pure qualcuno che redige quelle schede, mica i cataloghi nascono da soli? Ma sarà difficile che i frequentatori di una biblioteca pensino a lui o semplicemente ne immaginino l'esistenza. Lui resta nell'ombra e da lì osserva il mondo.
Il catalogatore se ne sta solo e tapino nel suo ufficio, circondato da decine di scatole di libri da descrivere, soggettare e classificare. Per lui non c'è differenza e dedica, pazientemente, la stessa attenzione ai classici e alle puttanate contemporanee.
Il catalogatore è un moralista che fustiga libri e uomini, i best-seller dei giornalisti televisivi e la nuova narrativa italiana, gli utenti onniscienti e rompicoglioni, le bibliotecarie chiocce che asfissiano i ragazzi con consigli di lettura non richiesti, gli studenti somari che chiedono di leggere l'improbabile Uno, qualcuno, diecimila di Pirandello.
Ma questa galleria di buffa aneddotica non si limita all'universo libresco e bibliotecario. Il catalogatore ha una vita privata, una casa, una moglie, dei figli. Il suo occhio si sofferma a cogliere tante piccole tragicommedie domestiche in cui molti troveranno di che riconoscersi. L'autore dà il meglio quando scende al bar, teatrino di personaggi memorabili sin dal nome, anzi nomignolo, che portano. C'è il «Ciuleur», presunto stallone che racconta mirabolanti avventure sessuali e, in realtà, nessuno ha mai visto con una donna. C'è il «Patteggia», diplomatico e bonario, che ha assunto il pareggio come filosofia di vita. C'è il «Puntista», ottuagenario e malfermo sulle gambe, ma imbattibile a bocce. E c'è «Echecaz», dall'inconfondibile intercalare. E poi ancora il «Terrapiatta» e «Vunindu», capaci di costruire ragionamenti e discussioni meravigliose, al di là del bene e del male, categorie per entrambi obsolete.
Oltre il bar si stende il quartiere con i suoi tipi eccentrici e poetici. «Scarseggia» ha gli occhi buoni, un giardino incolto pieno di cianfrusaglie e pedala su un triciclo da adulti; nessuno sa perché venga chiamato così. «L'uomo di pianura» se ne sta per ore con le mani in tasca a fissare l'infinità dei campi: sono così belli i prati senza strade e senza pali della luce. «VotPerot» da studente prodigio diventa un rampante tagliatore di teste e finisce esaurito e imbambolato a caricare e scaricare scatoloni nella ditta di famiglia. Quasi opposto, invece, il destino di un ragioniere, mediocre e scalognato fin che si vuole, ma ripagato dall'amore dell'unica figlia down: Quando la guardava, così goffa nei movimenti e così buffa nelle espressioni, la trovava bellissima e armoniosa, di quell'armonia che solo il caos dell'universo può dare.
Non c'è una trama o un disegno da seguire in questo libro ma uno sguardo curioso sulla realtà quotidiana, curioso e pungente, a volte quasi aforistico, a volte indugiante sul tempo andato, sui beati anni delle cavolate giovanili. Che poi ritornano, non c'è niente da fare, si riaffacciano nei comportamenti dei figli a cui bisogna lasciare il tempo di essere coglioni.