L'appuntamento

13.03.2017 22:00

 

La ragazza mi aveva atteso a lungo al ristorante. Si era seduta al tavolo prenotato, aveva ordinato una bottiglia d’acqua minerale e aveva bevuto un sorso. Al cameriere aveva detto di ripassare fra un po’, quando fosse arrivato l’amico che aspettava, cioè io. Era una bella ragazza, lo aveva visto anche il cameriere. Una bella ragazza sola, seduta a un tavolo ad aspettare un uomo, probabilmente più grande di lei, un uomo fortunato. Lo aveva scandito chiaramente che aspettava un amico in modo da troncare sul nascere ogni possibile fastidio, ogni eventuale eccesso di gentilezza nei suoi confronti. Davvero un uomo fortunato, aveva pensato il cameriere. O forse ricco. Doppiamente fortunato allora. Ricco e pieno di belle donne.

Lei se ne stava seria davanti alla sua bottiglia d’acqua minerale, ogni tanto beveva un sorso. L’ovale del viso sarebbe stato ancora più bello se fosse stato illuminato da un sorriso. Forse se l’amico, cioè io, fosse arrivato in fretta, quelle labbra molli si sarebbero distese fino agli angoli del viso in un grande benvenuto amoroso. E poi gli occhi. Il cameriere, che era un poeta della domenica, li paragonò a due pozze d’acqua scura, immota, l’acqua di un lago notturno – si disse - tenero e tenebroso, di una dolcezza estiva e irripetibile. La guardava furtivamente nello specchio dietro il bancone del bar. Con discrezione ne spiava il profilo, le gambe atletiche incrociate, i movimenti un po’ nervosi delle mani, i capelli neri e crespi, lasciati lunghi a toccare le spalle, un po’ scomposti. Elegantemente trascurata, sì, senza ostentazione né trucchi, bella per virtù propria, come un’alba sull’autostrada o un porto al crepuscolo. Era davvero un uomo fortunato quello che stava per arrivare.

Ma invece non arrivava nessuno, io mi stavo perdendo nelle vie contorte della città vecchia e lei restava sola con la sua acqua minerale. Dopo mezz’ora ordinò un antipasto di mare. Ordinò anche un quarto di vino bianco della casa, meglio non prendere una bottiglia intera non sapendo i miei gusti. E il cameriere la guardava di sottecchi, questa bella cerbiatta che mangiava da sola, e cominciava a fare pensieri un po’ spinti, un po’ troppo da latin lover, gli venivano in mente certi film ambientati a Napoli, dove il cameriere si chiama Ciro, ha i capelli neri lisciati con la gelatina e i baffetti, e seduce le turiste con uno sguardo irresistibile. Prese a girarle intorno con circospezione, fingendo di mettere in ordine i tavoli vicini, peraltro vuoti e impeccabili. Non c’era nessun altro nella sala, solo lei. Le chiese se voleva ordinare qualcos’altro, ma lei disse di no. Lui la guardò dritto negli occhi cercando di suscitarle anche solo una briciola del desiderio che gli stava salendo. Poi si allontanò lentamente, con passo calcolato, come per farle capire che, dopo questo primo leggero assalto, sarebbe tornato in forze. Lei lo fissò perplessa per qualche attimo, poi voltò la testa verso la porta e la strada ostinatamente deserta. 

 Cominciava a infastidirsi di quell’attesa, ormai era quasi un’ora che aspettava. Il cameriere la fissava dalla sua postazione. Sapeva di non avere molto tempo. Pensava a come si sarebbe comportato il suo collega Ciro in una situazione analoga. Lasciò passare un paio di minuti, poi tornò all’attacco. Si prese la libertà di offrirle un bicchiere di Chardonnay per ingannare – così disse- il tempo bugiardo dei ritardatari. Lei lo guardò stupita. Lo trovò insolente, ma non poté esimersi dal constatare che era anche un bel ragazzo. Forse era bello proprio perché era insolente, o comunque anche per quello. Il cameriere intuì qualcosa, o credé di intuirlo. Ad ogni modo lei lo guardò con stizza e ringraziò seccamente. Lui si ritirò abbassando lo sguardo e lei mandò giù un sorso di quel vino, posò il bicchiere, si voltò e chiese ad alta voce il conto. Il cameriere glielo portò, lei pagò in fretta e se andò. Ecco, finì così la vicenda del ristorante. Perlomeno questa è la cosa più probabile, anche se, stando al racconto che il cameriere fece ai suoi amici, le cose sarebbero andate in modo assai diverso. La bella ragazza sola avrebbe gradito molto il gesto cortese del vino, avrebbe ringraziato affabilmente fissando a lungo il cameriere negli occhi in modo sessualmente inequivocabile. Lui si sarebbe offerto per farle compagnia nella serata, al che lei gli avrebbe lasciato il suo numero di cellulare. Poi avrebbe chiesto il conto e lasciato i soldi sul tavolo, infine si sarebbe alzata e sarebbe uscita dal locale. Appena finito il turno di lavoro, verso mezzanotte, il cameriere l’avrebbe chiamata e si sarebbero dati appuntamento alla «Taverna Rossigni», unico locale della città a rimanere aperto tutta la notte.

In ogni caso, io mi ero definitivamente perso nel più inestricabile groviglio di vicoli che avessi mai conosciuto e non avevo mai raggiunto il ristorante.