Un narratore padre

05.10.2025 21:08
Di cosa siamo capaci, di Sebastiano Mondadori, è un romanzo vasto e ambizioso. Vasto per la quantità di luoghi attraversati, per l'arco temporale coperto, per la complessa ragnatela di rimandi, citazioni, allusioni. Ambizioso per una scrittura lussureggiante che vuole contenere tutto: la narrazione in terza persona (con profusione di indiretto libero alternato al realismo dei dialoghi) e il tu lirico della poesia, la sentenziosità  lapidaria  dell'aforisma e la densità figurale di una prosa visionaria. Bisogna un po' abituarsi alla voce abbacinante di questo narratore che flirta con i suoi personaggi, li strapazza e li consola, un narratore padre - verrebbe da dire - più che onnisciente, che ammicca con frequenza al loro futuro, a quello che diranno o faranno, in un continuo gioco di anticipazioni non sempre facili da decifrare. Sullo sfondo della nostra storia recente - sfondo che si sposta da Milano a Parigi, a Berlino, al Portogallo, alla Toscana - si delinea un confronto generazionale tra Adele, una madre brillante, colta, avida di conoscenza, sentimentalmente sfrontata e prepotente, e Nina, una figlia insicura, che arranca dietro a quel modello, ma da cui eredita quantomeno l'amore per i libri, i paradossi verbali, la bellezza e la disinvoltura sessuale. Tutti scopano con tutti (o quasi), in una girandola di relazioni a geometria variabile e di paternità taciute. È il sesso a muovere tutto o, al contrario, è una semplice funzione istintuale a cui la nostra cultura bacchettona dà troppa importanza? Si va dal '68 al '93 (con uno strascico negli anni 2000), cioè dall'utopia di un mondo nuovo alla "distopia della felicità" berlusconiana, in cui il successo personale si sostituisce agli ideali collettivi. Si può scegliere se preferire Adele,  il suo triangolo amoroso con Bebo e Rudi, la sua parabola da comunista d'alto bordo che finisce per approdare nelle file opposte del liberismo. Oppure Nina, la sua ricerca a tentoni tra sperimentazioni amorose e complicità con il fratello Marco (li unisce un segreto indicibile), fino alla realizzazione professionale nell'editoria. Quello che resta - come ha dichiarato l'autore stesso - è una grande, grandissima nostalgia. Per il tempo della gioventù, sicuramente. Ma anche per un'epoca, non lontana, in cui la cultura non era un orpello da esibire o da dileggiare, ma sostanziava la vita di molti, per cui discutere di libri, di film, di politica o di filosofia era un esercizio quotidiano che poteva dare un senso alle amicizie e  agli amori, molto più di adesso. Non a caso tra i tanti personaggi del libro restano impigliati, come in compiaciuti camei, Truffault, Godard, Kundera, Mastroianni, il filosofo Jankélévitch...Una dichiarazione di fedeltà a un novecento irrimediabilmente trascorso.